L’autismo si manifesta come un grave problema nello sviluppo, caratterizzato da un deficit sul piano del linguaggio, una scarsa attitudine alla socializzazione e più in generale nell’apprendimento. Da Circa tre quarti dei pazienti autistici mostrano segni di ritardo mentale e una grande percentuale di chi soffre di sindrome autistica presenta anche qualche forma di epilessia. Per ragioni ancora oggi non spiegate, l’autismo è molto più frequente nei bambini maschi che nelle bimbe. Altro fattore certamente rilevante è quello genetico, considerato il gran numero di persone imparentate tra loro che hanno richiesto cure per autistici.
Una particolare attenzione è suscitata, a livello medico e scientifico, a quella percentuale di fanciulli che presenta uno sviluppo cerebrale regolare alla nascita, ma che nel corso degli anni sviluppa quei caratteri tipici della problematica. In questi casi si è soliti parlare di autismo regressivo, per indicare un processo di riduzione delle capacità mentali. Si tratta di situazioni particolarmente dolorose per i genitori che osservano il proprio figlio peggiorare nel tempo, sia dal punto di vista delle proprietà di linguaggio che sotto il pianto del contatto visivo con gli altri che lo circondano.
La condizione dei genitori autistici è molto delicata, in quanto la crescita dei loro pargoletti è contrassegnata da sintomi tipici del disturbo, come l’involuzione nel parlare, nel giocare con gli altri e nelle interazioni interpersonali. Sono proprio questi gli esempi più significativi su cui la medicina nutrizionale indaga per cercare dei nessi alimentari tali da favorire lo sviluppo di comportamenti autistici.
Uno degli aspetti che destano più preoccupazione nell’ambiente medico, ma che spiegherebbero anche il maggior interesse del pubblico verso l’argomento, è l’aumento esponenziale dei malati negli ultimi 10 anni.
Si tratta di una crescita costante, che lascia intendere come lo studio delle attività autistiche sarà uno dei temi principali su cui dovrà riflettere il Mondo sanitario . Anche l’Italia mostra questa terribile tendenza ed i più importanti neurologi ed esperti di alimentazione e dieta, si confronteranno sempre più spesso per cercare nuove soluzioni.
Mentre sino a poco tempo fa l’autismo era considerata una patologia rara, in grado di colpire 4 individui ogni 10 mila unità. Ad oggi, stando ai più recenti studi condotti negli Stati Uniti d’America, l’incidenza dei casi è drammaticamente aumentata, passando a ben 35 casi ogni 10 mila abitanti.
Sono dati che, tradotti in percentuale, rivelano come il disturbo autistico sia cresciuto, negli ultimi anni, dell’800% . Altri studi parlano persino di 67 casi ogni 10000 persone, dati che suggeriscono di iniziare a parlare di autismo grave come ad una vera emergenza. Sembrerebbe che ogni anno vi è il 4% di pazienti autistici in più, rispetto a quello precedente.
Autismo come alterazione dell’apparato gastro-instestinale
Si è cominciato a parlare di questo legame, a partire dalla fine degli anni ’90, grazie ad un’analisi approfondita su di un gruppo di bambini che avevano sviluppato un autismo regressivo, durante la loro fase di crescita. Come è facile pensare, in questo studio veniva data un’enorme importanza a tutte quelle condizioni “esterne” che avrebbero potuto condizionare a tal punto l’organismo del bambino da farlo “cambiare” e regredire sul pianto lessicale, sociale e interpersonale.
I principali sintomi comuni a questi bimbi autistici erano:
- dolori all’addome
- diarrea
- irritabilità intestinale
Inoltre, gli autori di questo test, mediante endoscopia, hanno potuto costatare l’esistenza di iperplasia nodulare linfoide e ulcere aftoidi, ovvero due sintomi inequivocabili di una mucosa infiammata. L’analisi dei dati ha suggerito come potesse essere una certa forma di infiammazione gastrica ad avere una certa influenza con l’arretramento nello sviluppo celebrale dei piccoli bimbi con disturbi dello spettro autistico.
Si era scoperto una corrispondenza quindi tra l’iperattività di alcuni bambini autistici con la qualità dei nutrimenti che assimilavano, responsabili dell’evidente alterazione delle mucose protettive interne che rivestono e difendono l’intestino. Del resto illustri scienziati e medici hanno confermato l’esistenze di un legame tra cervello e intestino.
Entercolite autistica
Si è coniato questo termine per marcare con maggiore insistenza come la malattia di bambini autistici potesse dipendere in qualche forma da quello che si verificava lungo il tratto gastrico e quindi il colon.
Le caratteristiche ricorrenti dell’apparato digerente di questi bambini afflitti da autismo di tipo regressivo risultavano fondamentalmente queste:
- L’epitelio intestinale rivela una infiltrazione linfocitaria anomala, decisamente più elevata del solito, persino superiore a quella che si può riscontrare tra i pazienti afflitti dalla malattia di Crohn.
- Riduzione dell’immonoglobulina di tipo A, con conseguente indebolimento della mucosa intestinale.
Attività enzimatica compromessa, tale da rendere problematica la digestione di idrati di carbonio e favorire il cattivo assorbimento dei disaccaridi. - Alcuni tipi di peptidi, solitamente presenti sulla superficie di assorbimento dell’intestino tenue, come la dipetidyl peptidasa IV o DPPIV) mostrano un funzionamento irregolare (in alcuni autistici mancano del tutto), provocando difficoltà digestive considerevoli di alcuni peptidi.
- Incremento della permeabilità dell’intestino e maggiore assorbimento di lattulosio.
- Percentuali decisamente più grandi di anticorpi IgA, necessari per digerire caseina e le altre proteine del latte.
- Presenza di solfatazione epaticadecisamente più alta rispetto a quella di individui non autistici.
Di fronte ad un elenco così nutrito di sintomi in comune, appare evidente che l’intero quadro clinico lasci pensare ad un’evidente infiammazione della mucosa intestinale. Sappiamo bene come già per altri disturbi, come nel caso di disbiosi da candida albicans o provocata da altri batteri patogeni, una scarsa protezione immunitaria, associata al deterioramento della mucosa e della flora intestinale, può esporre l’organismo a infezioni intestinali e allergie alimentari.
L’assunzione di lieviti e la crescita di batteri aneorobici può così incrementare la produzione di tossine e generare possibili disturbi neurologici. Quello che accade è abbastanza semplice da spiegare e dovrebbe far riflettere coloro i quali considerano quello che mangiano solo come la causa del loro dimagrire o ingrassare.
Una carenza enzimatica, incluso quella di enzimi pancreatici e di diversi peptidi presenti sulla superficie di assorbimento dell’intestino tenue, può provocare una assimilazione difficile di certi elementi, in particolar modo, di peptidi.
La persistenza di macromolecole di origine alimentari irrita fortemente le pareti interne allo stomaco, soprattutto quando si è già afflitti da ipersensibilità intestinale. Questa condizione a dir poco delicata, lascia presagire come possa innescarsi un effetto negativo a causa di specifiche proteine presenti in quello che mangiamo.
D’altro canto, l’elaborazione incompleta di peptidi alimentari genera nell’organismo la produzione di peptidi oppioidi, che ritroviamo in moltissimi casi tipici di autismo infantile. La debolezza intestinale in cui si trova il soggetto, facilita il passaggio di questi peptidi attraverso la mucosa, senza che alcun tipo di barriera contrasti questo tipo di “invasioni”.
La dieta antiautismo
Anche se di fatto non si può afferire con valenza scientifica che esista un regime alimentare che impedisca l’insorgere dell’autismo, di fatto possiamo essere certi che determinati cibi contengono proteine direttamente collegate con alcune allergie alimentari, in primis: latte e glutine.
L’attenzione va quindi rivolta a tutti quei pasti che contengono proteine come la caseina, lattoalbumina, lattoglobulina, gliadina, ordeina e secalina (tipica della segale).
I risultati sui bimbi con l’autismo sono stati considerevoli, visto che ogni qual volta venissero escluse dalle loro diete questi tipi di proteine, si è potuto assistere alla riduzione dei tipici comportamenti autistici. Non somministrando le pietanze “allergiche” si è constatato il miglioramento nella comunicazione e la maggiore predisposizione a socializzare con terze persone.
Questi studi hanno confermato come i bimbi che non assumevano né caseina e né glutine, mostrassero progressi considerevoli e non creassero alcun scompenso alimentare, sotto il piano dell’apporto proteico e dei micro nutrimenti. La spiegazione di tutto ciò è che la caseina si trasformava in peptidi oppioidi, raggruppati sotto il nome di casomorfina e che il glutine mutava in altri peptidi tossici, chiamati gliadorfina.
La prova del nove si è avuta quando questi terribili peptidi sono stati riscontrati anche dall’analisi dell’urina effettuata su soggetti autistici di giovane età. Volendo classificare questo tipo di scelte alimentari, possiamo parlare quindi di una dieta chetogenica, quasi del tutto priva di carboidrati e glucosio, in cui l’apporto proteico è garantito dall’assunzione di pesce, carni magre e uova. Non proprio una dieta vegetariana, per intenderci.
Collegamento fra mucosa intestinale infiammata e attività cerebrali
Eccessive presenze di peptidi oppioidi nella pipì dei bimbi, che dimostravano di avere problemi di sviluppo, possono provenire da un complesso di circostanze sfavorevoli, alimentate, principalmente da una situazione di disbiosi intestinale e allergie ai cibi. L’aggravante genetica rappresenta quindi un fattore in più che spiega come persone con un intestino molto delicato, abbiano spesso anche casi di autismo di bimbi in famiglia.
Alla tossicità di questo tipo di peptidi si aggiunge anche la micotossina prodotta dai lieviti rimasti negli intestini di alcuni individui e i batteri tossici, generati in eccesso. Quando si soffre di permeabilità è più facile che grossi quantitativi di tossine liposolubili, sovraccarichino il fegato di lavoro extra, al punto da non riuscire più a far fronte alle fasi di disintossicazione epatica. La carenza di solfatazione, emblematica in coloro che soffrono di qualche forma di autismo, non fa altro che peggiorare la situazione.
In virtù di tutte queste considerazioni, appare legittimo parlare di un reale collegamento tra condizione dell’intestino e risposta neuronale quando si parla di autismo in età infantile. Qualunque tipo di metodo propositivo, finalizzato a riequilibrare l’ecosistema intestinale compromesso, riscontrato nei bimbi, può risultare estremamente utile per curare l’autismo regressivo. Tra le azioni più valide per contrastare i problemi di sviluppo legati a questa atroce malattia, ricordiamo:
- l’assunzione antimicrobici naturali,
- prebiotici (FOS e GOS) e Probiotici (Lactobacillus Paracasei Subsp Paracasei F19 e Bifidobatteri)
- enzimi pro digestivi,
- complessi molecolari che migliorano l’eliminazione di sostanze tossiche e metalli pesanti
I probiotici curano l’apparato cerebrale
Può essere questo il riassunto di questi studi, ponendo l’accento a come, questo tipo di diete chetogeniche, possano aiutare il trattamento anche di altri disturbi cognitivi, come PANS e PANDAS, ahimè sempre più diffusi nel pubblico in età prescolare. Si allude a problematiche come iperattività, dislessia o mancanza di attenzione ovvero di difficoltà cognitive che possono essere contenute e a volte risolte, grazie ad una dieta adeguata, ricca di grassi poli-insaturi Omega 3 e carente in carboidrati (grano) e glucosio.
Non è un caso se, in passato, si era già evidenziato un miglioramento delle condizioni di salute di pazienti epilettici e afflitti da schizofrenia quando sottoposti ad una dieta di tipo chetogenica, in grado di ridurre la permeabilità dell’intestino (in inglese leaky gut, letteralmente “intestino che gocciola”).